Pietro Tedeschi è nato nel 1744 a Pesaro dove, giovanissimo, ha frequentato la scuola-bottega del noto pittore e architetto Giannandrea Lazzarini (1710-1801), divenendo ben presto uno dei suoi migliori allievi. Nel 1770 a 26 anni inizia a perfezionare tale apprendistato pittorico nella prestigiosa Accademia Clementina di Bologna, dove ha potuto visionare direttamente i capolavori del classicismo emiliano del Cinquecento e Seicento, assimilando la lezione dei Carracci, di Guido Reni, del Domenichino. Nel 1777 a 33 anni si trasferisce definitivamente a Roma, dove il maestro Lazzarini era solito indirizzare i suoi scolari più meritevoli. Come documenta il carteggio del pittore con Lazzarini e il rinomato erudito ed archeologo Annibale degli Abbati Olivieri Giordani (1708-1789), i suoi due illustri concittadini sono stati i principali estimatori e protettori per la sua carriera pittorica, che si conquista con operosa tenacia anche nel procacciarsi protezioni e committenze tra potenti cardinali e ricchi aristocratici della capitale, «conoscendo essere in Roma molto necessarie tali protezioni», come scrive nella lettera del 7 maggio 1777 a Olivieri; infatti tra i suoi fautori e mecenati, alcuni dei quali l’hanno ospitato nei loro palazzi, riesce ad annoverare i cardinali Gennaro Antonio de Simone, Gaetano Fantuzzi, Mario Compagnoni Marefoschi, Leonardo Antonelli, Stefano Borgia, i principi Barberini, Albani, Altieri, i duchi Lante.
Nella capitale, centro internazionale delle arti e del neoclassicismo europeo, apre una sua scuola pittorica, raffina la tecnica, progredisce nella ricerca di uno stile personale nell’espressione dei temi devozionali, dipinge numerosissime opere di cui una settantina rimaste, fra cui una trentina di pale d’altare; si fa conoscere ed apprezzare, conquistandosi una posizione ragguardevole nel novero dei pittori operanti a Roma nell’età di Pio VI, fra cui Domenico Corvi, Giuseppe Cades e Antonio Cavallucci, con i quali nel 1793-94 lavora in équipe per dipingere i quattro evangelisti nei pennacchi della cupola del duomo di Urbino. Il 25 novembre 1785 ha il grandissimo privilegio di presentare personalmente a Pio VI la grande e bella pala raffigurante il Martirio di San Cassiano, mentre era esposta nel Pantheon, commissionatagli per l’altare maggiore della cattedrale di Imola; il papa trattenne Tedeschi in un «lungo colloquio» elogiandone l’opera e nel congedarsi gli conferì l’altissimo onore «del bacio del piede». Da numerose località di varie regioni gli vengono commissionate molte opere di carattere sacro, per la maggior parte firmate e datate, che il pesarese da Roma invia nelle Marche, in Lazio, Toscana, Umbria, Romagna, dove sono tuttora conservate: tra queste la sua prima opera di grande formato, la bellissima pala per l’altare maggiore della chiesa pesarese di Sant’Agostino, raffigurante la Santissima Trinità con la Vergine e i Santi Agostino e Lorenzo, forse il suo capolavoro, d’impronta marattesca, tuttora in loco, firmata e datata, dipinta nel 1776 a Roma, dove l’ha esposta nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva prima di inviarla a Pesaro.


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