LE ARMI USATE DALL’ESERCITO NAPOLEONICO di Stefano Pigliapoco


Il fucile utilizzato dall’esercito francese durante le guerre rivoluzionarie prima e napoleoniche poi è lo Charleville, dal nome della città dove risiedevano,nel lontano 1728,le fabbriche di costruzione nelle quali veniva sviluppata la nuova tecnica industriale di serie ideata dall'ingegnere Blanc.

Funzionante col meccanismo d'avancarica a pietra focaia e privo dell'alzo di mira quest'arma aveva la canna liscia, un calibro di circa 17,5 mm. (0,70 pollici), un peso di 4.140 gr. e una lunghezza di 152,6 cm. (di cui 113,9 cm. appartenenti alla sola canna).

La gittata massima ufficiale del fucile Charleville era di oltre 1.000 mt., ma in realtà nell'impiego contro nemici isolati era consigliabile una distanza inferiore ai 100 metri.
Già a soli 250 mt. era praticamente inutile anche contro compatte formazioni di truppe nemiche, ciò era dovuto al fatto che la canna era liscia e per giunta leggermente più larga della palla stessa che sparava.
Ad una distanza di 200 mt. lo scarto che subiva il proiettile, dalla sua traiettoria iniziale, era di circa 3 mt., data tale scarsa precisione comune a tutte le armi dell'epoca, gli eserciti erano costretti a far fuoco in formazioni compatte in modo da ottenere una potenza di fuoco efficace sul campo.
L'esercito francese usava polvere da sparo nera a grana grossa, ciò produceva eccessivo annerimento della canna la quale doveva essere pulita dopo circa 50 colpi, che fra l'altro era anche il numero di cartucce in dotazione ad ogni singolo fante.
Tali cartucce costruite con carta cerata, contenevano ognuna al loro interno una palla del peso di 26 gr. e 12,5 grammi di polvere da sparo.
Per l'operazione di pulitura della canna veniva utilizzato un apposito spillo che andava infilato nel canaletto del focone.
Sempre per effetto della polvere da sparo subito dopo che i soldati avevano sparato in formazione, si formava davanti a loro un generale oscuramento della scena di battaglia impedendo per un certo tempo di mirare nuovamente al bersaglio.
Le pietre focaie di ricambio in dotazione erano 3, e andavano sostituite dopo 10/12 colpi sparati.
Come se tutto ciò non bastasse, l'arma in condizioni climatiche avverse, come pioggia o gelo, diventava ben presto inutilizzabile.

Da allora l’arma subì una serie piuttosto lunga di modifiche.

Partiamo dunque dall’anno 1763: la Francia ha appena perso la guerra dei sette anni contro Prussia ed Inghilterra e si rende conto dell’urgenza di adeguare le proprie armi ai nuovi standard europei.

Il primo tentativo è tuttavia un fucile talmente pesante da essere sostituito dopo soli tre anni dal modello pensato da M.de Montbeillard, Ispettore della manifattura di Saint Etienne.

Nasce il cosiddetto Modello 1766, decisamente più affidabile e resistente del precedente a dispetto del minor peso. Il calibro rimarrà sempre di 17,5 mm.

Fucile Charleville 1766 - foto 1

Entro il 1770 le fabbriche francesi produssero più di 150.000 esemplari. Dopo questa data venne progressivamente rimpiazzato dal modello 1770/71: quando scoppiò nel 1776 la Guerra d’Indipendenza Americana, la Francia rifornì i ribelli proprio con i fucili modello 1766 ormai messi a deposito

Fucile Charleville modello 1777 - foto 2

Arriviamo quindi al modello 1777, l’arma utilizzata durante le guerre rivoluzionarie. Le differenze rispetto al modello 1766 sono minimali: fu dotata di un cane di maggior robustezza, mentre lo scodellino di ferro venne sostituito da uno di ottone lievemente inclinato in alto agevolandone così lo sfruttamento delle scintille create dalla percussione del cane su di esso, si intervenne anche sul foro di comunicazione con la canna, detto anche focone, spostandolo un po' più in basso per facilitare il contatto tra la polvere da sparo contenuta nella culatta della canna e il polverino d'innesco all'interno dello scodellino,una forma più longilinea, più affusolata, e la sostituzione delle bande che tengono la cinghia alla quale vengono aggiunte due viti per poter meglio sfilare la cinghia stessa. Semmai, più importante è la maggior attenzione riservata in fase di produzione nel cercare di rendere i singoli pezzi intercambiabili da un fucile all’altro, prima passo verso la moderna tecnica di produzione in serie.più funzionale (risp766) fu dotata di un cane di ma 

Fucile Charleville 1777 annoIX - foto 3
L’ultima evoluzione di quest’arma è il modello 1777 Corrigé An IX, così chiamato perchè modificato ed introdotto durante l’anno nono della rivoluzione, cioè nel 1798. Ancora una volta le modifiche sono modeste: si introducono per tutte e tre le bande metalliche che tengono la canna legata al legno una molla ritrattile, il cane ha una forma leggermente diversa ma, soprattutto, sua caratteristica principale è la martellina con il bacinetto a forma di cuore in ottone con una vite di supporto, mentre quello del 1766 era piatto, in acciaio e di forma trapezoidale.Tutte le parti metalliche – bacinetto escluso, in ottone - vengono fatte in acciaio, certo un acciaio nemmeno paragonabile per resistenza a quello forgiato grazie alle attuali tecniche metallurgiche. L’arma misura oltre 150 cm, cui vanno aggiunti 40 cm di baionetta, per un peso di 4,7 Kg, 5 con la baionetta.
La cavalleria, invece, aveva in uso il moschetto da dragone. I dragoni vennero creati all’inizio del 1600 come fanteria montata, ma alla fine del 1700 divennero una parte ben specifica della cavalleria, per quanto in molti eserciti fornita di armi da fuoco.

Moschetto da dragone anno IX - foto 4

Il fucile in dotazione ai cavalieri era più corto e leggero di quello utilizzato dalla fanteria, anche se dello stesso calibro, per poter utilizzare le munizioni in uso alla fanteria e per non dover impiantare una specifica produzione di proiettili adatti solo per questo tipo di arma. Gli anelli attorno alla canna sono ora però in ottone per evitare l’ossidazione causata dal sudore del cavallo.

Baionetta e Fodero IN COMUNE PER TUTTI I TIPI DI CHARLEVILLE. foto 5

Ogni fante aveva in dotazione una baionetta inastabile a sezione triangolare lunga circa 40 cm. la cui reale efficacia è tuttora dubbia vista la pessima qualità dell'acciaio con cui era fatta (infatti la tecnologia della fabbricazione dell'acciaio era ancora primitiva).
Le cronache del tempo citano un episodio piuttosto illuminante, che riguarda la robustezza delle baionette, avvenuto durante la Battaglia delle Piramidi (1798):
"...per ripescare, dopo la battaglia, i corpi riccamente vestiti dei mamelucchi caduti nel Nilo, i soldati francesi non trovarono nessuna difficoltà a ripiegare ad uncino le proprie baionette."
Altra riprova di quanto detto sopra ci viene da una ricerca fatta dal Generale Dominique Larrey, medico chirurgo della Guardia Imperiale francese, e senza ombra di dubbio una delle figure mediche più illuminate dell'epoca.
Dopo aver esaminato i morti e i feriti di due diverse unità (francesi e austriaci) impiegate in uno scontro a corpo a corpo, il Dr. Larrey constatò soltanto 5 ferite attribuibili a colpi inferti con la baionetta, mentre le ferite inflitte dalle pallottole erano 119.
Da questi episodi è facile intuire come fosse la paura psicologica di essere colpiti dalla baionetta a far fuggire il nemico, piuttosto che gli effettivi danni che essa poteva causare.

 

Le parti del fucile Charleville  sono sostanzialmente quattro:
1.La parte in legno, detta la crosse. Viene costruito utilizzando del robusto legno di noce ed è fatto in modo tale da contenere il meccanismo di sparo e la canna sferica; sulla parte che poggia sulla spalla vi è una placca in acciaio.
2.La canna del fucile, detta Canon. Si attacca alla parte in legno grazie ad una vite posta alla sua estremità e grazie a tre bande metalliche, a loro volta fissate da tre molle retrattili. Alla base vi è un piccolo foro, chiamato lumiére, che, mettendo in comunicazione la polvere versata nel bacinetto con quella versata nella canna, permette all’arma di sparare. In prossimità della bocca da fuoco vi è un piccolo pezzo di metallo di forma quadrangolare per fissare la baionetta.
3.Il meccanismo di sparo, detto patine. Qui troviamo il cane, chien, che tiene, grazie ad un semplice meccanismo a vite, la pietra focaia, la silex, a sua volta avvolta da un pezzo di piombo o di pelle per evitare che, stringendo la vite, si possa rompere o spezzare. Ogni soldato doveva avere nella propria giberna tre pietre focaie piombate pronte all’uso: durante le marce o nei periodi di acquartieramento venivano tolte per preservarle ed al loro posto veniva messo un pezzetto di legno. Vi è poi il bacinetto in ottone, le bassinet, nel quale si mette la carica di innesco, che ha una copertura in acciaio, detta cucchiaio o, meglio, couvre-bassinet, che consente al soldato di maneggiare il fucile senza vuotare il bacinetto e alla pietra focaia di creare la scintilla tramite sfregamento, quando si preme il grilletto. Il meccanismo è attaccato alla parte in legno da due viti.
4.La baguette, ovvero la bacchetta, che si incanala in un apposito spazio intagliato nel legno. All’estremità inferiore ha un filo che permette di avvitarvi alcuni utili strumenti per pulire la canna o per estrarre la palla.

 

Veniamo ora al modo di funzionamento di queste armi.

Il regolamento francese dell’epoca prevedeva dodici distinte fasi di caricamento.

Senza analizzarle nel dettaglio, il soldato doveva:
01-Abbassare l’arma a livello del torace, mantenendola puntata verso il nemico e tenendola con la mano sinistra;
02-Sollevare il cucchiaio o martellina con la mano destra.
03-Con la stessa mano, prendere la cartuccia dalla giberna, avendo cura di far passare la mano fra calcio del fucile e corpo per non ostacolare i compagni impegnati nella medesima operazione, e portarla alla bocca. La cartuccia non è altro che un pezzo di carta avvolto a mò di cilindro e chiuso alle estremità al cui interno si trovano la polvere nera e la palla: prima di questa invenzione i soldati utilizzavano il corno, con tutti i problemi che questo strumento comportava per quanto concerne il versare nella canna la giusta quantità di polvere.
04-Strappare la cartuccia con i denti e tenere in bocca la palla. Si pensi che per evitare il servizio militare molti uomini si facevano togliere i denti o si amputavano le dita della mano destra, affinchè non potessero premere il grilletto del fucile.
05-Riempire (o quasi) il bacinetto di polvere nera.
06-Chiudere il cucchiaio o martellina,tenendo tra le prime due dita della mano destra.
07-Raddrizzare l’arma lungo la gamba sinistra.
08-Versare nella canna del fucile la rimanente polvere nera, la palla e quindi la carta.
09-Estrarre la bacchetta ed infilarla nella canna.
10-Pigiare con la bacchetta verso il fondo della canna quanto in precedenza versato un paio di volte.
11-Riporre la bacchetta nell’apposita scanalatura.
12- Portare il fucile in posizione di sparo.

13- Armare il cane.
14- Prendere la mira (*)
15- Tirare il grilletto per sparare il colpo.
16- Rimettere il fucile al petto per il nuovo caricamento Portare l’arma.

 

(*) Al fante si consigliava di mirare più in basso del dovuto, in quanto il forte rinculo del fucile,dovuto alla sua potenza, faceva immancabilmente alzare la canna nel momento dello sparo.Ora è evidente che con tante operazioni da compiere la cadenza di tiro fosse estremamente bassa,infatti solo i più esperti veterani riuscivano a sparare 3/4 colpi al minuto, per tutti gli altri tale media scendeva a 2 colpi al minuto.
Poteva inoltre capitare che con una media di una volta su sei il colpo non partisse e nel fragore e ardore della battaglia il fante non se ne accorgesse, determinando così un doppio caricamento, oppure che i più inesperti, nella fretta, dopo aver infilato la palla dimenticassero di estrarre la bacchetta dalla canna con conseguenze drammatiche sia per l'arma che per il tiratore stesso.
Proponiamo di seguito i più comuni problemi:
-Polvere nera umida,

che quindi non brucia, a causa di pioggia, neve o anche solo per condensa del metallo. Se il problema riguarda la polvere versata nel bacinetto, basta semplicemente vuotarlo, asciugarlo e mettere nuova polvere; se invece ad essere umida è la polvere versata nella canna, bisogna rovesciare il fucile e – colpendolo ed utilizzando un attrezzo chiamato tirapalla(tirez-ball) che si avvita all’estremità della bacchetta e dotato di uncini – cercare di fare uscire la polvere.
-Combustione della polvere posta nel bacinetto,senza partenza del colpo.

In questo caso si è verificata un’ostruzione nel buco di comunicazione fra bacinetto e canna, probabilmente causata da detriti di carta o di polvere nera, che all’epoca era molto rozza e lasciava moltissimi residui dopo la combustione. Bisogna pulire con un panno il bacinetto e quindi utilizzare l’epinglette, una sorta di forte spillone che ogni soldato porta appeso con una catenella ai bottoni della giacca, per liberare la lumiére. A questo punto bisogna comunque riempire di nuovo il bacinetto utilizzando la polvere di una nuova cartuccia, detta di innesto, che verrà poi conservata nella giberna per usi analoghi.
-Nessuna combustione della polvere posta nel bacinetto.

Questo problema, decisamente il più comune, dipende dalla mancata scintilla della pietra focaia. Diverse le cause: la pietra focaia non è ben stretta nei denti del cane o troppo usurata (si tenga presente che una pietra spara dai 12 ai 15 colpi e che i soldati avevano in dotazione tre pietre focaie, che in teoria dovevano consentirgli di sparare tutti o quasi i 35-40 colpi che portavano nella giberna, circa due kg di piombo), o va sistemata meglio, oppure, ancora, è sporca e dunque va pulita.

Oppure un soldato maldestro, poteva rovesciare la maggior parte o tutta la polvere da sparo,che sarebbe servita da innesco a terra con conseguente mancata partenza del colpo.
Gli stessi Comandanti francesi facevano trascurare spesso le esercitazioni di tiro alle loro truppe, in parte per risparmiare munizioni e in parte per evitare inutili perdite di vite umane (non era raro che le canne potessero scoppiare uccidendo lo stesso tiratore) il cui sacrificio era più utile sul campo di battaglia.
Del resto la dottrina militare francese dava più importanza al fuoco dell'artiglieria per aprire varchi nelle file nemiche; al fante era richiesto di inoltrarsi in questi varchi con la baionetta inastata risolvendo così gli scontri corpo a corpo. A

Per evitare tutti questi problemi, o quantomeno per ridurne l’incidenza, era molto importante tenere il fucile quanto più pulito possibile e quanto più lontano dall’umidità. Per ovviare a quest’ultimo inconveniente, ad esempio, i soldati erano soliti avvolgere il meccanismo del cane con tela o pelle, ma il problema era così sentito che persino il regolamento arrivò a prevedere una particolare posizione per portare l’arma e preservarla il più possibile dall’acqua: all’ordine l’arm sur le bras gouche, i fanti arrivavano a portare sempre il meccanismo di sparo fra il braccio sinistro ed il costato, praticamente sotto l’ascella. Il corpo, in tal modo, faceva per così dire da ombrello: dato il peso e la lunghezza dell’arma questa è però una posizione che non si riusciva a mantenere per lungo tempo. Proprio in funzione di rendere la pulizia del fucile – ma anche la fabbricazione – più semplice e veloce possibile, i progettisti fecero sì che l’intera arma fosse smontabile utilizzando un unico strumento: il tournez-vie, composto da tre lati, due dei quali terminanti a mò di cacciavite ed uno invece rotondo. I primi due servivano per smontare le viti del fucile, il terzo per stringere la vite che tiene stretta la pietra focaia. Smontarlo era molto facile: dopo aver tolto la cinghia – che però non tutti i fucili possedevano – si svitano le due viti del meccanismo di sparo e quindi lo si toglieva dal supporto in legno; poi si toglieva la vita della canna e quindi si sfilavano i tre anelli metallici che la tengono ancorata ancora al legno, magari aiutandosi con la bacchetta usandola a mò di martello se le bande si fossero rivelate troppo dure da sfilare a mani nude. A questo punto, per pulirlo bastava avere dell’acqua, preferibilmente calda, della polvere di mattone per grattare via le impurità, una spazzolina molto resistente e degli stracci per asciugarlo. Per pulire l’interno della canna si utilizzava sempre l’acqua unitamente ad alcuni strumenti attorno ai quali venivano legati piccoli lembi di stracci, come il legastracci o il tirez-ball che venivano avvitati all’estremità della bacchetta e infilando poi quest’ultima all’interno della canna. Per pulire le canne, tuttavia, spesso i soldati vi urinavano dentro, in quanto l’acidità dell’urina lavava egregiamente l’arma.

S Stefano

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