Il Bombardamento di Ancona del 24 maggio 1915  

 

L’Ammiraglio Haus aveva da tempo progettato un attacco immediato all’Italia.

Nel rapporto relativo all’attuazione di questo piano ne descrive i termini concettuali e quindi strategici:

“Nell’intento di danneggiare di sorpresa e nel tempo più ristretto dopo l’apertura delle ostilità il nuovo avversario e di applicare un sensibile colpo alla sua forza morale, ho progettato una azione contro i punti militari della costa orientale italiana coll’impiego di tutte le forze disponibili”[1] 

Si osserva subito che il Comando Austriaco è stato più efficiente del nostro. Aveva già le idee chiare su come affrontare la guerra. Mentre era stata scelta la difensiva per il fronte terrestre, in mare si era scelta la massima aggressività. Anche se non emerge dal rapporto di Haus, l’azione navale contro le coste marchigiane e romagnole aveva come scopo ultimo non solo quello di fiaccare il morale della popolazione, ma di provocare con una azione violenta la rivolta della popolazione stessa. Erano noti a tutti gli eventi del giugno 1914, quando le due regioni si ribellarono al governo centrale e per settimane furono in mano ai rivoluzionari di sinistra (repubblicani e socialisti); si sperava a Vienna che questo attacco immediato e violento, sostenuto all’interno anche da una rete di informatori e spie, avrebbero dato il via a reazioni contro il Governo ove i neutralisti, contrari alla guerra, erano visti come la massa di manovra insieme ai reali oppositori politici. Questa azione, che metaforicamente si può descrivere come “il fiammifero gettato nel bidone di benzina”, avrebbe dovuto provocare quell’incendio, quella rivoluzione che per le regioni interessate, avrebbe paralizzato la mobilitazione Italiana e messo in gravissima crisi il Governo. In pratica era l’ultimo tentativo di tenere fuori l’Italia dalla guerra, che sarebbe stata onerosa e forse decisiva per la sua sopravvivenza per la duplice monarchia. Il “bidone di benzina” era visto a Vienna come i neutralisti, i giolittiani, la frattura tra Roma ed il Vaticano, la questione romana, il “parecchio” che politicamente era stato rifiutato, e, in ultima considerazione, la concezione che gli Italiani non si sarebbero sacrificati più di tanto in una guerra, considerati di scarse virtù guerriere e civiche. Questo “bidone di benzina” doveva incendiarsi  il primo giorno di guerra, e il fiammifero doveva essere l’attacco di tutta la flotta conto “i punti militari della costa orientale italiana” [2] Più avanti si faranno ulteriori ed altre considerazioni sulle origini e motivazioni del piano austriaco; qui occorre rilevare che le navi austriache attaccarono punti “indifesi” della costa orientale italiana. Peraltro per tutta la durata della guerra mai nave battente austriaca osò attaccare “punti militari” difesi. Tutte le località bombardate erano notoriamente indifese; a cominciare da Ancona di cui era stato comunicato per via diplomatica il disarmo al Governo Austriaco, così come Senigallia; Potenza Picena, Rimini, Fano e Pesaro. L’unico punto difeso era Porto Corsini, ma, come afferma il contrammiraglio Fausto Leva[3], da informazioni successive si ebbe la conferma che gli Austriaci ignoravano che esistessero a Porto Corsini delle batterie, le quali erano state installate pochi giorni prima della apertura delle ostilità. 

La relazione dell’ammiraglio Haus prosegue indicando scopo e compiti delle unità impiegate:

“A tale scopo, come già informai col mio telegramma Ris.N.221/=.P. del 22 corr. Mese la  linea Gargano-Pelagosa dall’Helgoland, Csepel, Tatra, Lika, Orien e quella Pelagosa-Lagosta dall’Adimiral Spaun, Wildfan, Streiter, Uskohe e Ulan per escludere una sorpresa durante le nostre operazioni, divise in azioni separate. Inoltre con voli di ricognizione sui punti principali della costa italiana furono verificate le notizie a me note sulla dislocazione delle forze navali nemiche. Feci accertare specialmente l’esistenza o meno di sbarramenti nei pressi di Ancona prima da un gruppo di torpediniere ed un’altra volta da n sommergibile; le esplorazioni ebbero sempre esito negativo.”[4]

L’ammiraglio Haus, a scopo difensivo, aveva dislocato due sommergibili a Trieste per contrastare un eventuale attacco italiano contro quel porto, ed un altro sommergibile nelle acque di Lissa con la motivazione “…che per l’Italia ha una certa importanza”[5] un terzo sommergibile nelle acque montenegrine per operazioni contro quella costa.

Haus era convinto di ottenere il successo sperato. Scrive nella relazione :

“L’azione premeditata contro la costa italiana prometteva successo purchè essa si fosse svolta immediatamente dopo l’inizio delle ostilità, per cui, nell’intelligenza delle probabilità dello scoppio della guerra, già fin dal 23 c.m. tenni pronta la flotta a partire da Pola all’imbrunire. Le disposizioni emanate tendevano a far entrare in vigore ad un tempo, all’alba, tutte le azioni isolate contro vari punti della costa”[6]

Note

[1] Leva F., La Marina Italiana nella Grande Guerra. L’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa e la lotta in Adriatico. Dal 24 maggio 1915 al salvataggio dell’esercito Serbo., Firenze, Vallecchi Editore per conto dell’Ufficio Storico della Regia Marina, 1936. Pag. 8

[2] Per ulteriori considerazioni su questo aspetto vds. Coltrinari M, Il significato del bombardamento di Ancona il 24 maggio 1915, in Lucifero, Anno CXLV n. 1 aprile 2015

[3] Leva F., La Marina Italiana nella Grande Guerra. L’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa e la lotta in Adriatico. Dal 24 maggio 1915 al salvataggio dell’esercito Serbo.,cit., pag.9

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] Ibidem


Flag Counter

mail  :  oplologia@yahoo.com

 

pec  :    oplologia@certificazioneposta.it